Sette TorriCaratteristico borgo rurale composto da ville di varie epoche ed antiche costruzioni; annessa ad una costruzione su due piani, è presente una cappella con campanile a vela a un fornice, una iscrizione sull’architrave, una finestra circolare e uno stemma nobiliare su questa. In questi ultimi anni dalla cappella sono stati trafugati degli affreschi e una acquasantiera in pietra. Sulla facciata di una costruzione vi è una lapide commemorativa datata 1773. Sull’ampio piazzale si affacciano anche due nicchie votive. Questo piccolo borgo è sorto dopo il 1700, in una zona adibita a villeggiatura tra i territori di Giovinazzo, Terlizzi e Molfetta, per la sua altitudine e la sua aria salubre. Forse durante le frequenti pestilenze era il rifugio di famiglie benestanti. In seguito sorsero le ville di industriali molfettesi.
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Dolmen S. SilvestroDatabile alla media età del Bronzo (prima metà del II millennio a.C.), sorge su uno dei terrazzi pianeggianti, tipici della Murgia barese, degradanti verso la costa, incisi perpendicolarmente del corso delle lame, antichi solchi erosivi a carattere torrentizio lungo il cui percorso si sono attestati i principali insediamenti dell’antichità sin dal Neolitico. L’erezione dell’imponente monumento, riservato alla sepoltura di gruppi di rilievo nell’ambito della comunità, potrebbe forse essere attribuita a quelle del centro costiero a pochi chilometri di distanza sull’Adriatico, sito sul basso promontorio occupato oggi dall’odierno abitato di Giovinazzo, secondo un modello ricorrente nella prima metà del II millennio a.C. Sotto il cumulo di pietrame, in parte moderno, che lo ricopriva, detto “Specchia Scalfanario”, di forma subcircolare con un diametro di m 35 ed un’altezza di m 4 si conservava il tumulo vero e proprio, costituito da pietrame di medie dimensioni e contenuto entro una crepidine di lastre calcaree alta m 1,30, con una pianta circolare del diametro di m 30. Al di sotto ancora, una costruzione in opera muraria a secco con pietre scelte e ben tagliate nella locale pietra calcarea, alta m 2, a pianta ellittica con uno sviluppo massimo di m 7,50 inglobava un lungo vano a galleria con andamento nord-sud (dolmen), eretto con l’impiego di lastroni infissi verticalmente e coperti da analoghi in senso orizzontale per una lunghezza di m 17, purtroppo danneggiato al momento della scoperta e diviso in due tronconi.Per impermeabilizzare l’interno, un letto di scaglie ricoperto da uno strato di intonaco argilloso rivestiva le lastre di copertura. All’estremità meridionale si apriva infine un ambiente probabilmente scoperto a pianta circolare sulla cui parete, in corrispondenza della galleria, un portello rettangolare immetteva all’interno come accesso vero e proprio, utilizzando per le pratiche funerarie connesse con la deposizione dei defunti. Analogo portello si apriva sul lato opposto, a Nord. Nel troncone settentrionale, al momento della scoperta, si conservava ancora il piano di deposizione delle sepolture, suddiviso in setti tramite due lastre verticali, con i resti di tredici individui e del corredo funerario. Di questo rimanevano soltanto alcuni frammenti di vasi in impasto di tipologia protoappenninica, testimonianza superstite di corredi che dovevano comprendere probabilmente anche beni di prestigio, considerato il rango degli inumati cme armi e monili in bronzo o altro materiale prezioso, come ambra, pietre dure ecc. L’esplorazione archeologica dell’ambiente circolare ha inoltre provato che l’area del dolmen era già frequentata per scopi sepolcrali prima della sua erezione, sempre nell’ambito della media età del Bronzo, e che era interessata ancor prima, nel V millennio a.C., da un insediamento del Neolitico Antico.
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Chiesa di S. EgidioDella chiesetta sono rimasti solo dei resti costituiti da una parete di una chiesa su cui si notano delle arcate interne ed esterne che probabilmente fungevano da ingressi; un’altra parete presenta una piccola porta che costituiva un ingresso ad un ambiente attiguo alla chiesa. Il crollo è dovuto all’avanzare di una cava di calcare sita a ridosso dei resti della chiesa. Sullo stipite sinistro della porticina c’è l’iscrizione “DIS”, mentre su quello destro c’è la data 1523. E’ probabile che questa chiesa sia stata eretta tra i secoli XI e XII, in occasione della venuta dei Benedettini a Giovinazzo. Agli inizi del 1500, essa dovette crollare rovinosamente o essere abbattuta, per poi essere ricostruita nel 1523. Divenne grancia della Badia di S. Maria di Pulsano. L’intera località di San Egidio, volgarmente conosciuta come “Sande Scinne”, è tristemente nota per essere divenuta in passato zona di ricovero degli appestati. Alcuni sepolcreti sono di recente venuti alla luce nella parte interessata all’allargamento nefasto della cava.
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Chiesa del Padre EternoComplesso costituito da chiesa con Torre campanaria e costruzione adibita in passato a lazzaretto. La torre è a due piani con l’accesso dal lazzaretto attualmente murato; in cima alla Torre si trova un campanile a vela a un fornice. Nella chiesetta ci sono: un’acquasantiera posta su una colonna in granito, una lapide commemorativa del restauro avvenuto nel 1952, un affresco all’ingresso, un altare settecentesco in pietra locale che fu realizzato dallo scultore Nicolò Buonpensiero nel 1770 e sull’abside il dipinto antico che raffigura il Cristo, S. Giovanni Battista e la Madonna, detto del Padre Eterno, da cui riceve il titolo la chiesa. La chiesa è ad una sola navata con annesso piccolo locale adibito a sacrestia. Le volte sono a botte lunettata tranne nella zona presbiteriale dove sono a vela separate da archi; sulla sinistra dell’altare si trovava una edicoletta della Madonna di Corsignano trafugata da ignoti. Il lazzaretto, usato come tale durante le pestilenze del 1478, 1503 e 1528, è inaccessibile e comunque in cattivo stato di conservazione. Davanti al complesso c’è un ampio piazzale. Da studi condotti dal dott. Michele Bonserio si apprende che in passato la chiesa era intitolata a S. Maria di Corsignano e ne fu la prima dimora fino agli inizi del ‘700. In passato la chiesa era inglobata nel casale di Corsignano e annesso ad essa esisteva un convento di benedettine. Fondato nel 1269 detto casale, esistente in epoca romana, è menzionato per la prima volta in documenti storici del 1131. Tale chiesa dovette essere costruita nella seconda metà del secolo XII, ma la sua più antica testimonianza è data da una pergamena datata 1295. E’ legata fortemente alla tradizione della donazione di un dipinto di Madonna con Bambino, più tardi dal volgo detto di Corsignano, che oggi trovasi nella Cattedrale di Giovinazzo. Danneggiata nel 1529 dal famigerato Caracciolo, fu poi fatta restaurare ai tempi del vescovo Briziano. Nuovamente ridotta a ruderi nel secolo XVIII, fu riedificata e riaperta al culto il 1814 per interessamento del suo rettore, il sacerdote don Raffaele Sagarriga, così come si rileva da un’iscrizione posta all’interno della torre campanaria. Il popolo da secoli si reca in pellegrinaggio nelle prime ore del mattino del 6 agosto di ogni anno, nella ricorrenza della Trasfigurazione di nostro Signore. La chiesa appartiene al Capitolo della Cattedrale.
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